Considerare la persona come un’unità, un tutto integrato, non è semplice.
Culturalmente siamo abituati a pensare l’individuo come un insieme di elementi: corpo, mente, tessuti, scheletro, pensieri, comportamenti. Anche il linguaggio che utilizziamo spesso ribadisce una visione che separa il sé e distingue il funzionamento mentale dall’esperienza corporea. Ne sono un esempio le espressioni che sottolineano il mal funzionamento di un organo o di una parte del corpo ad esempio “ho un problema allo stomaco”, “mi fa male una gamba” oppure che si riferiscono a processi mentali: “non ho abbastanza forza di volontà”, “ho ansia” ecc. In questo modo, il sorgere di un disturbo o una difficoltà, porta ad occuparci di quell’aspetto che si reputa “difettoso” o che necessita di attenzione configurando l’elemento che attrae la nostra attenzione come qualcosa di esterno piuttosto che considerarlo come un’esperienza facente parte di noi e che, proprio per questo, ci dice qualcosa di noi come persone.
Una visione olistica, conduce invece a riconsiderare qualsiasi esperienza percepita, come esperienza di noi in quanto persone ovvero come un processo che fa parte di un insieme più vasto che include sia aspetti somatici che psicologici. In altre parole i processi psichici e quelli fisici sono aspetti dello stesso insieme: l’organismo (o la persona), il quale sussiste poiché in grado di mantenersi in equilibrio attraverso continui aggiustamenti della propria struttura.
Il continuo oscillare tra stati di disequilibrio, provocati da cambiamenti contingenti (es. le relazioni, i rapporti sociali) o interni (es. metabolismo) e la ricerca di una stabilità (omeostasi), fa si che i “sistemi” maggiormente versatili e flessibili siano anche quelli che maggiormente adattabili.
Osservare la persona a partire da questa prospettiva ha delle implicazioni rilevanti per la psicologia. La conseguenza è infatti quella di considerare ciascun individuo nella sua natura processuale piuttosto che a partire da una una visione lineare causa-effetto.
La persona, non può dunque essere vista al pari di una macchina che viene “assemblata, potenziata o modificata”, ma come un organismo che cresce e si modifica cambiando la sua organizzazione in base all’evidenza dell’esperienza.
Se teniamo conto dell’aspetto corporeo, psicologico e sociale come ambiti rilevanti e integrati dell’esperienza di ciascuno possiamo considerare i comportamenti, come la risultante di un insieme di fattori che si muovono più o meno all’unisono e vedere come ogni scelta sia fatta per ricercare il miglior modo di adattarsi al mondo.